LA LOTTA DEI PASTORI SARDI E LA PROSPETTIVA DEL CONFLITTO


Articolo-intervista ai compagni di Sardegna Rossa
di Chiara Pannullo

Stiamo seguendo tutti la “questione sarda” che vede i pastori gettare via il loro latte in segno di protesta, cosa che indiscutibilmente per un lavoratore che produce, ne dichiara apertamente la disperazione e la rabbia. 
I pastori sono taglieggiati da un sistema industriale teso a sfruttare il più possibile i piccoli produttori: l’industria decide senza mezzi termini il prezzo del latte, parametro che cambia, sostiene quest’ultima, dalle decisioni del mercato.
Proviamo a capirci di più…: la zootecnia ovicaprina da latte in Sardegna, può fare riferimento a circa 12 mila allevamenti e si contano più di 3 milioni i capi ovini di cui ben 3 mila allevamenti offrono oltre 330 mila capi caprini. Una pecora può produrre più di 120 litri di latte, dunque, una produzione complessiva del comparto, si attesta intorno ai 350 milioni di litri, che poi vengono trasformati e consentono una produzione di formaggi di circa 590 mila quintali. Ad occhio e croce, dunque, possiamo considerare: 160/170 milioni di litri a Pecorino Romano DOP; 130 milioni di formaggi misti; 10/11 milioni a Pecorino Sardo DOP, 4/5 milioni a Fiore Sardo DOP. La Sardegna ha la maggiore produzione nazionale di latte ovicaprino e sorregge più di due terzi della produzione nazionale di ovino e oltre la metà di caprino, con un indotto occupazionale di 100 mila persone che direttamente o indirettamente sono coinvolte in tale processo.
Tale mobilitazione non è nuova, già all’inizio del secolo scorso, la lotta per il prezzo del latte aveva mobilitato le piazze e per ragioni, non così dissimili dall’attuale, vedendo appunto contrapporsi i produttori primari e dunque i pastori e gli industriali che erano i monopolisti lattiero-caseari. Bisogna tenere a mente, per comprendere maggiormente tale conflitto, che il settore della pastorizia conta di innumerevoli piccoli produttori e in proporzione, pochi caseifici di rilievo in grado di esportare. Il latte viene acquistato dagli industriali come “anticipo” all’inizio dell’autunno calibrando la propria offerta sul valore stabilito dal mercato di un pecorino DOP sardo, il “pecorino romano”, esportandolo al mercato nordamericano.
Ogni recessione, vede il rincaro degli industriali sul prezzo del latte e i pastori, che non possono decidere del proprio acquirente, ne patiscono in questo modo il prezzo di vendita. Gli esigui trasformatori possono invece unirsi in cartello e stabilire un prezzo, saltando tutte le fasi della contrattazione, al punto che a gennaio, una cifra che si è attestata sotto i 60 centesimi, sotto i costi di produzione, è diventata il prezzo fisso. Quando va tutto bene, la produzione del latte ovino, per un litro è di 75 centesimi, diversamente, il costo può arrivare ai 90 centesimi. Tale differenza dei prezzi viene scontata dai pastori verso i quali si utilizzano spesso, anche pratiche scorrette e illegali (come l’importazione di latte dall’Europa dell’est, il surplus di formaggio e in particolar modo, il latte surgelato). 
I monopolisti lattiero-caseari dispongono di grandi risorse e di scarna visione d’insieme ma non si tratta soltanto dell’incapacità dei trasformatori nel gestire la produzione o di un’imperizia imprenditoriale bensì di un vero e proprio sabotaggio: basti pensare che tra il 2015-2016, i trasformatori maggiori, dichiararono una sovrapproduzione di latte con l’unico intento di abbassare i prezzi di acquisto, una strategia al profitto che allora fu fatta saltare proprio dai pastori. 
Al fronte opposto, abbiamo il ceto politico, le associazioni di categoria che nei rapporti economici e di favori a più livelli, indicano anche per il futuro, che l’unico percorso possibile davvero da percorrere è l’antagonismo deciso contro gli industriali e che unisca i pastori in un unico fronte, i quali hanno anche preparato un comunicato il 9 Febbraio, che dà precise disposizioni sulla volontà di tornare ad essere i padroni del prodotto del proprio lavoro. Questa protesta, che a fasi alterne si fa sentire forte, non può certo considerarsi semplicemente un’istanza spontanea, bensì l’insofferenza di una realtà la cui mobilitazione lega pastorizia e lavoratori. Solo la lotta paga e non è certamente uno slogan. 
Non può infatti considerarsi interlocutrice la politica istituzionale, le cui promesse sono volte unicamente ad ottenere qualche voto in più nelle prossime elezioni regionali del 24 Febbraio. Ciò che è fondamentale semmai, è la messa in discussione delle regole che Stato e Unione Europea impongono, quelle dettate dal capitalismo e dal libero mercato, completamente disinteressate ad un intervento serio sull’economia da parte pubblica, indipendentemente da quanto l’assistenzialismo possa offrire e abbia offerto al settore in questi anni. 
Da un “programma minimo” di rivendicazioni, quali l’imposizione del prezzo del latte ovicaprino per legge a 1,00€/litro più IVA, è fondamentale che si proceda ad un processo di pianificazione che renda protagonisti i produttori primari e i lavoratori dell’indotto, che non consenta gli eccessi di produzione e vada oltre il regime di monocoltura che ne è la causa. L’importanza del settore per la Sardegna, è sì data da fattori di tipo economici ma soprattutto ha rilievo di carattere sociale, ambientale e culturale.
La pastorizia ha dunque un ruolo di primaria importanza nell’equilibrio dell’isola, mentre per quanto concerne le aree interne, rende meno doloroso, facendone da argine, lo spopolamento e la spoliazione della cultura sarda.

I compagni del Collettivo 13 Rosso, si sono rivolti ai compagni di Sardegna Rossa (ex sezione Sassari-Olbia del Pcl) che dal 2010 hanno sempre proposto ai pastori lo scontro diretto contro i monopolisti lattiero-caseari utilizzando i metodi tradizionali del movimento operaio: il blocco della produzione nei caseifici

1) il latte, non viene utilizzato tutto nella produzione del pecorino romano ma anche per altri formaggi di qualità, venduti a prezzi ben più remunerativi, eppure la spesa si attesta sempre al di sotto dei 60 centesimi sulla base del prezzo finale del “romano”. E’ dunque il latte è uno dei pochi casi in cui il prodotto finale – ossia il “romano” – stabilisce il prezzo della materia prima e non il contrario?

RISPOSTA: la produzione di Pecorino romano è il risultato di un meccanismo di sfruttamento coloniale imposto dagli inizi del 1900 dagli industriali lattiero-caseari continentali che avevano il loro mercato di sbocco negli USA. Per cui è da allora che è stato imposta questa produzione e i pastori sardi erano solo i produttori materia prima. La lotta contro questo meccanismo coloniale fu proposta per la prima volta nel Programma di Macomer (1920) al III congresso della Federazione regionale sarda degli ex combattenti che l’anno successivo sarebbe diventata il Partito sardo d’Azione. Nel Programma di Macomer, scritta da Emilio Lussu e dallo psichiatra cagliaritano Lionello de Lisi, che si contrapponeva a quella moderata della sezione di Sassari di Camillo Bellieni. I pastori dovevano controllare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione. Nel 1925 , fu fondata la “Federazione delle latterie sociali e cooperative della Sardegna” dai sardofascisti guidati da Paolo Pili( i sardisti che nel 1923 entrarono nel PNF), che sembrava realizzare quanto proposto nel Programma di Macomer: nel 1925 Pili negli USA concluse un accordo per la vendita di 50 mila quintali di formaggio per cinque anni. Ma nell’agosto dello stesso anno, gli industriali caseari del continente passarono al contrattacco. Intervennero direttamente sul segretario nazionale del P.N.F., Augusto Turati, che convocò Pili a Roma e gli impose di chiudere la Fedlac: “queste organizzazioni ci seccano”(29). La Fedlac fu liquidata nel 1930. La stessa fine fece la Sylos, cooperativa tra enti e piccoli coltivatori di grano, fondata a Cagliari nel 1925. Non si poteva metter fine alla dipendenza coloniale e operare una diversificazione nella produzione del formaggio se non si rovesciava il capitalismo e s’instaurava una dittatura rivoluzionaria del proletariato. Questa è la sostanza della questione sarda e meridionale che per Gramsci costituiva uno degli assi della strategia rivoluzionaria nello stato italiano. Con poche varianti è una delle questioni strategiche di oggi, solo che non va posta nei limiti dello stato italiano ma nel quadro dell’UE, perché il meccanismo coloniale è stato rafforzato, appunto, prima dalla CEE e poi dall’UE.
Dalle lotte del 2010 abbiamo fatto la battaglia per indirizzare i pastori allo scontro diretto contro i monopolisti. Nel 2010 cercarono d’impedirci di entrare nel movimento elementi legati a Forza Nuova. Fu facile superare l’ostacolo perché, anche noi proveniamo dall’ambiente agropastorale e abbiamo legami di parentela e amicizia con i pastori delle zone in cui viviamo (dal Logudoro al Goceano). In un’assemblea di pastori, lo stesso Felice Floris riconobbe che il nostro unico interesse era quello della vittoria dei pastori. E’ovvio che non devi apparire come ceto politico e noi non lo siamo nell’apparenza e nell’essenza. Finalmente il 5 agosto del 2016, 500 pastori assediarono lo stabilimento dei fratelli Pinna di Thiesi. A quell’iniziativa parteciparono anche i compagni del Fronte Indipendetista Unidu. Felice Floris fece il comizio e dichiarò sciolta la manifestazione. Nessuno si mosse e si aprì la discussione su due posizioni: una delegazione che incontrasse i Pinna dentro lo stabilimento; l’altra che i fratelli Pinna si confrotassero fuori dello stabilimento di fronte ai pastori nel piazzale antistante l’ingresso. Il rapporto numerico fra i poliziotti antisommossa e pastori era a svantaggio dei primi. I fratelli Pinna si fecero persuasi (per usare un’espressione di Montalbano-Camilleri) che era meglio scendere giù, altrimenti tutti i pastori sarebbero andati su. Dopo quella iniziativa ci fu una stasi. Quando le lotte sono riprese il movimento ha adottato l’insegnamento di quella giornata.

2) Periodicamente la Regione organizza dei tavoli di contrattazione che saltano, proprio perché gli industriali sono contrari ad ogni rialzo del prezzo del latte. Costoro, che controllano i tre consorzi di tutela dei tre pecorini Dop (il Romano, il pecorino sardo e il fiore sardo), è chiaro che si organizzano in cartello sui prezzi e che non abbiano alcun interesse a diversificare la produzione: è possibile dunque costruire una geografia di interessi molteplici legati ai produttori ma sarebbe interessante che riusciste a spiegarci anche il ruolo hanno le Coop in questa vicenda, soprattutto riguardo la domanda e l’offerta legata ai consumatori.

RISPOSTA- Subito dopo la bozza di accordo scritta nella prefettura di Cagliari sono iniziate le critiche di dirigenti del Movimento Pastori sarda e di altri gruppi di pastori, anche le organizzazioni tradizionali del settore Coldiretti, Confederazione Imprenditori agricoli (l’erede degenerata delle vecchie organizzazioni dei contadini e dei mezzadri legate al PCI e al PSI) hanno preso posizione contro la bozza di accordo. L’unica organizzazione che lo difende è la Lega delle cooperative: “E’ nemico dei pastori sardi chi dice che non vanno bene 0,72 centesimi di euro”(Claudio Atzori presidente di Legacoop Sardegna). Per la costituzione delle cooperative per il conferimento del latte si batterono nel secondo dopoguerra il PCI e il PSI per contrastare i monopolisti continentali e sardi. Progressivamente si sono trasformate in organismi capitalistici subalterni quando il PCI e il PSI accettarono l’unificazione capitalistica europea (CEE e poi UE). Oggi i capi delle cooperative sono integrati nel meccanismo capitalistico di sfruttamento coloniale

3) La classe politica, subalterna agli interessi e ai dettami degli industriali non pare abbia mai mostrato la volontà di opporsi. E’ per questo, che tutti i volti noti dei politici sardi siano stati mandati via dai presidi di questi giorni?

RISPOSTA- il ceto politico regionale di centrosinistra e di centrodestra è considerato un’unica congrega di politicanti. Questo rifiuto del ceto politico fa la fortuna dei demagoghi di turno come Salvini e i 5Stelle. E’ ovvio che in presenza di un partito rivoluzionario di agitatori e propagandisti ben sperimentati i demagoghi non vanno da nessuna parte. Proprio perché siamo consapevoli che la bancarotta economica del capitalismo produce crisi politiche e sociali, come il CRQI sostiene dalla conferenza di Istanbul del 2007, che pauperizzano i ceti intermedi siamo intervenuti nella crisi del mondo agropastorale sardo. Provate a pensare se Lenin e trotsky non avessero avuto una politica e una tattica articolata sulle stratificazioni del mondo contadino russo il potere non l’avrebbero mai conquistato. L’adesione dei soldati alla rivoluzione ci fu perché la rivendicazione della pace era legata al rovesciamento dei nobili e dei borghesi nelle campagne. Insomma il peggior ostacolo alla costruzione di un partito rivoluzionario sperimentato è l’operaismo che pensa che la rivoluzione sia uno scontro tra una classe operaia, immaginata come “una rude razza pagana senza miti né dei”, e i padroni. Questo è solo un modellino che esisteva nella testa di Mario Tronti.

4) Rispetto ai 300milioni di litri di latte prodotti all’anno e in gran parte destinati alla monocoltura del “romano”, è evidente anche il dato dell’importazione che copre l’oltre l’80% dei prodotti alimentari: cereali, carne, formaggi, frutta e verdura, inclusi i mangimi per alimentare pecore e agnelli. Non è forse un paradosso inspiegabile? In Sardegna la superficie agricola utile è di circa 116.000 ettari, di questi 7.000 sono destinati ai seminativi e più di 45.000 a pascolo. Semplificando la questione, quasi tutta la terra viene utilizzata per produrre merce di scarso valore economico e con poco valore aggiunto proprio perché la trasformazione è demandata per lo più agli industriali del latte, mentre viene importata merce che non è possibile produrre sul territorio. Che tipo di lotta è possibile, dunque, portare avanti?

RISPOSTA-La crisi economica della microazienda pastorale, di cui il prezzo del latte è solo una parte, è determinata dall’indebitamento con il sistema creditizio. Dal 2004 sono iniziati pignoramenti i pignoramenti. Ci sono state lotte significativie con blocchi per impedire l’accesso degli ufficiali giudiziari. Molti pastori utilizzano una parte della loro terra per la produzione di materiali per gli impianti di biomasse. Il progetto è quello di far diventare il territorio sardo un gigantesco impianto eolico e solare per l’esportazione di energia. Non esistono soluzioni nel quadro del capitalismo. Il destino della Sardegna nel quadro del capitalismo è quello di espoertare solo materie prime. Il movimento operaio sardo, che è nato nelle miniere del Sulcis si è sempre battuto sino alla prima metà degli anni ’70 per creare un’industria di trasformazione di ciò che veniva estratto dalle miniere, per cercare di mettere fine a questo meccanismo coloniale. Si è scontrato con il capitalismo di stato proprietario di quel settore. La lezione qual è? Nel quadro del capitalismo qualsiasi tentativo di modificare il

5) Matteo Salvini aveva urlato a gran voce, che non si sarebbe alzato dal tavolo dei pastori sardi, fino a quando, sul prezzo del latte di pecora finché non si fosse raggiunto l’accordo per farlo pagare un euro al litro. Come era prevedibile, l’accordo non c’è stato. Il governo ha proposto di passare da 60 a 70 centesimi al litro e poi a un euro nell’arco di tre mesi. La vertenza è sospesa e se ne riparlerà sabato prossimo ma in Sardegna, dove da domenica, il leader della Lega si stabilirà quasi per l’intera settimana in vista del voto del 24 febbraio. La coincidenza tra il voto e la vertenza, non è una coincidenza e non è escluso che Salvini farà di tutto per annunciare un accordo prima dell’apertura delle urne per ovvi motivi. Sul territorio, dunque sono in previsione altre manifestazioni, presidi o blocchi per la chiara e propagandistica “discesa in campo” del Ministro degli Interni? E non temete una manipolazione a destra e di settori populisti delle proteste?

RISPOSTA- Nell’assemblea di Tramatza del 19 febbraio è stata adottata la proposta di 80 centesimi al litro. Si è dimesso il presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano, Salvatore Palitta. Il suo mandato scadeva il 22 febbraio. Le decisioni adottate sono dovute alla minaccia dei prefetti e di Salvini d’intervenire con la repressione e dall’assenza di un partito rivoluzionario riconosciuto anche dai pastori. La crisi è risolta? No perché il sistema di potere che va dai monopolisti alle multinazionali non è stato minimamente scalfito. Ci saranno nuove esplosioni di lotta nelle campagne, quando si vedrà che il meccanismo bizantino proposto per portare il prezzo a 1 euro è solo fumo. I pastori adesso dovranno fare i conti con la vendetta dei monopolisti e le denunce dei blocchi. Questi sono gli insegnamenti che trarranno i pastori e sui quali noi condurremo l’agitazione: i monopolisti non sono intoccabili; una nuova generazioni di pastori ha adottato le forme di lotta che abbiamo visto; hanno visto che la demagogia è solo demagogia.
La crisi degli strati della piccola borghesia prodotta dalla bancarotta del capitalismo produce rivolte tra questi strati sociali (vedi la grande rivolta francese dei gilets jaunes) e in queste i marxisti rivoluzionari devono intervenire:1) per impedire che l’estrema destra le orienti contro il movimento operaio; 2) per affermarvi l’egemonia del proletariato rivoluzionario. I marxisti rivoluzionari devono far vedere a questi strati sociali che sono i più decisi, energici e i migliori contro la grande borghesia che li impoverisce. Devono mostrare che sono forti perché questo si aspetta la borghesia impoverita. Insomma la crisi e le rivolte della piccola borghesia sono il terreno privilegiato fra noi e il fascismo, il nostro nemico mortale. C’ un elemento di cui bisogna tener conto altrimenti si fallisce: le masse subalterne entrano nella lotta con le loro idee, i loro pregiudizi che possono essere eliminati solo se noi diventiamo la loro direzione. Anni di vuoto del marxismo rivoluzionario vivente, riempito dallo scolasticismo, hanno offuscato questa constatazione semplice ed elementare. Questi insegnamenti, però, saranno fruttiferi solo se nello stato italiano si darà vita ad un partito rivoluzionario di agitatori e propagandisti in grado di tagliare le briglie che legano la classe operaia alla burocrazia di CGIL, CISL e Uil e far diventare la classe il saldo punto di riferimento per tutti gli strati sociali subalterni che la catastrofe capitalista obbligherà alla lotta. Per concludere non ce niente da inventare i fondamenti della strategia rivoluzionaria sono stati posti dai due rivoluzionari tedeschi ormai da più di 150 anni fa si tratta di applicarla perché “non si tratta di ciò che questo o quel proletario o addirittura tutto il proletariato si prefigge momentaneamente come scopo. Si tratta di ciò che esso è e di ciò che, conformemente a questa sua essenza, esso sarà storicamente costretto a fare. Il suo scopo e la sua azione storica sono palesemente, irrevocabilmente tracciati nella sua particolare condizione di vita, come in tutta l’organizzazione dell’odierna società borghese” ( Marx ed Engels, La sacra famiglia)

Ainnantis! Amus a binchere!

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