La ricorrenza è questa: i 150 anni dalla Comune di Parigi, la data di
origine della rivoluzione sociale moderna. Il luogo, invece, è ed appare
più periferico: il piazzale davanti alla TexPrint di Prato. I suoi
gazebo, il suoi lavoratori in sciopero. Possiamo giocarcela facile, a
Montmatre, 150 anni fa, l’Epica, il concreto dispiegarsi
dell’abuso-del-capitale [la sua natura] e la risposta del lavoro-che-si-
nega come possibilità di costruire un altro-fuori-e-contro.
In concreto, oggi Prato è quanto possibile spingersi nella ricerca del
profitto, nell’impresa capitalista come unico soggetto esistente, che
respinge oltre il pensabile la realtà del lavoro, come merce e come
individui ad essa ridotti. Di contro il contraddittorio emergere della
necessità, da parte dei lavoratori, di tutelarsi, pensarsi, nell’unica
via possibile: negandosi al lavoro.
Ancora: la Comune che sabota il lavoro in nome della produzione libera e
associata, Prato rilancia tangibilmente che non può esistere condizione
di assoggettamento [permesso di soggiorno, immigrazione, isolamento]
capace di impedire il riconoscimento di se stessi come soggetti di
diritto e la conseguente [anche marginale numericamente, anche
tendenziale] pratica del rifiuto di essere, di riconoscersi, operaio
salariato o niente. A questo, rispondere con lo sciopero a oltranza ha
il valore di un punto di non ritorno, dove anche la rivendicazione di 8
ore per 5 giorni, diciamo un “equo, legale, sfruttamento” scava mine
definitive sotto tutto il sistema ineguale del lavoro salariato, sotto
la “legalità proprietaria”.
Contro questo processo linearmente sviluppabile come riconoscimento –
rivendicazione – ribellione [pur fra tutte le possibili contraddizione,
salti, arretramenti che la realtà – in quanto viva – propone] giocano in
tanti: la forza armata dello Stato, la sua forza togata e bollata e, non
meno letale, la sua forza aureolata che nella risultante corporea dello
sfruttamento vede “ultimi”, “portatori di disagio”, “emarginati” da
inserire, al loro posto, nella sua società.
Il buon borghese, samaritano e non, di sx fino ad una certa, dove il
limite è il proprio posizionamento sociale, da non mettere in crisi,
vede “eccessi di potere” laddove sta la natura della legge, vede
nell’inclusione l’intercapedine che lo può separare dal declassamento
[ma che non costi troppo, ovvio]. Soprattutto vede nel circuito dello
sfruttamento estensivo [se non lo vede chiaramente lo percepisce, per
puso istinto di classe] quell’accumulo di merce inutile su cui basa la
sua illusione di non essere sceso nella scala sociale, fino al livello
dei paria: i non consumatori.
Qui scattano, individualmente e nelle istituzioni sociali, in tumultuosa
crescita dietro agli SMS solidali e ai crowdfounding, i calcoli di quale
sia il prezzo più economico per apparire nell’operazione “Coscienza
pulita” [che è tanto democratica da non cogliere l’ironia della
sottoscrizione per l’acqua in Africa lanciata dalle multinazionali che
l’acqua la privatizzano].
Prato assume il senso del caso limite, del caso di scuola nel quale la
“colpa” è degli “rapaci esagerati” [datori di lavoro avidi,
possibilmente anche loro immigrati, inseriti sì, ma nelle organizzazioni
criminali…] e che propongono lavoratori “vittime del crimine”, per il
quale c’è orrore ed esecrazione “ma non la notte lungo i viali”.
Cosmesi come il PD che “solidarizza”, immemore e incurante [pronto a
definire “esempio di civiltà” la prossima cessione come FO #aggratis
degli studenti dei professionali ai servizi turistici in cerca di
rivincita da dichiarazioni dei redditi finalmente congrue coi profitti]
devono essere trattate come il pesce pallone, velenosissimo se non
cucinato in modo corretto.
Con questo non pensiamo che si debba rifiutare niente: solo che bisogna
essere chiari con tutti, soprattutto con gli avversari. Se non esiste
un’umanità ma un’umanità divisa in classi, la cautela è d’obbligo. Non
si tratta di settarismo, come vogliono far credere gli analizzatori del
sangue [altrui] e i fini discettatori sulla legittimità [sempre e solo
altrui]: si tratta di essere chiari nella dialettica “o/o”, fra chi
vuole “liberarsi” accettando, anche solo tollerando – via! – che altri
siano schiavi e chi sa, intuisce, foss’anche solo sospetta che non sarà
mai libero se un altro non lo è.
E questa è la bandiera che sventola a Montmatre come a Prato, lungo 150
anni di lotta di liberazione dal lavoro salariato e dalla merce.
Emme 18 marzo 2021