TEXPRINT UNA LOTTA ESEMPLARE

Procede e serrata oramai da oltre un mese la protesta di una ventina di operai della tintoria Texprint di Prato, situata nel cuore del macrolotto industriale del tessile e della moda. Lo sciopero vede un presidio permanente di fronte alla fabbrica, “guardato a vista” da due tende che si alternano di giorno e notte. Una richiesta sacrosanta ancora più che legittima, campeggia sui cartelli affissi ovunque: “8×5” otto ore di lavoro per cinque giorni alla settimana. L’urgenza nella domanda della regolarizzazione delle proprie condizioni di lavoro, ha visto in poche settimane, un terzo degli operai della fabbrica iscriversi al sindacato, chiedendo di ricevere il salario previsto dal contratto nazionale. Quali sono le condizioni, lo ha spiegato bene, ad una testata giornalistica, il delegato SiCobas Rahman Abdul: “Nonostante tutti noi lavoriamo in quel capannone da almeno tre anni. Ci pagano con contratti da apprendistato, costringendoci a straordinari non pagati tutti i giorni. Ogni giorno festivi compresi restiamo sul posto di lavoro almeno 12 ore, è un lavoro usurante e le condizioni di stanchezza fisica e mentale hanno già causato anche incidenti”. Fino ad oggi però, Texprint tace e non vi giunge alcuna comunicazione ufficiale, né tanto meno un accenno di interesse e di apertura alle trattative.Va aggiunto a margine – che tanto a margine non dovrebbe essere – che la vicenda ha un aspetto più oscuro e complesso. In tale vertenza, che contrappone una ventina di lavoratori per la maggior parte pachistani e il sindacato alla Texprint – stamperia a conduzione cinese – di via Sabadell ai propri dirigenti, porta il nome di Zhang Yu Sang, 41 anni (Valerio per gli amici) che per il SiCobas, è il vero titolare dell’azienda, nonostante sulla carta risulti essere un semplice impiegato. Una presenza piuttosto rilevante, dal momento che nel luglio scorso, i finanzieri del Gico di Milano, si sono presentati a Prato presentandogli le manette e una lista di accuse di tutto rispetto che va dall’associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, aggravata dal metodo mafioso, alla disponibilità di armi, autoriciclaggio, intestazione fittizia di beni e bancarotta.Apparentemente per “circostanza”, che ancora non giunge ad un rinvio a giudizio, la Texprint parrebbe non coinvolta (ciò nondimeno, l’ingranaggio del “prestanome” si configurerebbe come una procedura consueta e neanche così capziosa). Se per le fiamme gialle, Zhang, non risulta titolare di alcuna attività autonoma, è pur vero che così misteriosi non sarebbero i suoi rapporti con Francesco Maida e Luciano Mercuri, il primo attiguo alla cosca di ’ndrangheta di Lino Greco a San Mauro Marchesato (Crotone) e che ha sempre mostrato un vero e proprio talento nel riciclare denaro frutto di attività illecite. Si fa riferimento in particolare a 400.000 euro partiti sporchi verso la Cina e tornati lindi e pinti in Italia, nonostante l’alleggerimento di una commissione del 4%: il sign.re Mercuri, dopo qualche mese di arresti domiciliari, ora è libero. Personaggio dunque, assolutamente interessante Valerio Zhang tanto che già nel 2006, appena ventiseienne era titolare di quattro megastore di abbigliamento da 1.500 metri quadri l’uno: catena Vestimondo, a Collesalvetti, Cascina, Cecina e Viareggio, riforniti da un magazzino in via Toscana a Prato. Quindici anni dopo, lo ritroviamo invece impiegato, con nessuna delle sue attività intestata e con qualche grana giudiziaria ancora in sospeso. Per quanto invece riguarda la Texprint, lo stesso Valerio Zhang, la scorsa settimana si era presentato davanti alla Prefettura in un tentativo di mediazione immediatamente deflagrato, tra azienda e scioperanti: riunione in cui hanno preso parte unicamente gli avvocati dal momento che tutti gli altri non vi erano inclusi. Gli stessi lavoratori in sciopero, hanno poi fatto presente che è proprio Zhang colui che detiene i contatti per conto dell’azienda gestita dai suoi connazionali Zhang Yin, Hong Bo, Zheng Su e Zhang Jing Min.L’organico dell’azienda include 70 dipendenti di cui una ventina, come già detto, sono in sciopero da più di un mese e denunciano condizioni inaccettabili: turni di 12 ore, sette giorni su sette, senza ferie e permessi.L’obiettivo del sindacato è quello di trasformare una decina di contratti di apprendistato in contratti più concreti. Gli operai sono praticamente tutti segnati come apprendisti. Un apprendistato che arbitrariamente dura anni. Syed Zeeshan infatti, sostiene: «Sono qui da tre anni, sarei un apprendista ma insegno agli altri a lavorare, vorrei un contratto regolare». Inizialmente la paga era di 900 euro al mese, ora di 1.200. Accertamenti sono partiti dall’Ispettorato del lavoro. «L’azienda ci dice che se vogliamo possiamo andare in Tribunale – chiosa Luca Toscano dei SiCobas – ma non si può demandare tutto all’autorità giudiziaria. Lo ha detto anche il procuratore Nicolosi in questi giorni. Al sindacato e alla politica (che qui è assente) spetta il compito di cambiare questo sistema». E dati i non scontati intrecci tra tali aziende e criminalità organizzata, il sindacato, chiede di poter aprire un osservatorio che renda più chiari i meccanismi della cassa integrazione che è stata portata avanti in questi mesi. Non è possibile certo supportare con finanziamenti statali le imprese che più che all’offerta, si dedicano alla domanda, sfruttando la forza lavoro, privandola di ogni tipo di diritto anche di quelli basilari.Va inoltre aggiunto, che le critiche ai metodi di conflitto sindacale organizzato dal SiCobas (non solo scioperi a oltranza ma anche picchetti e blocchi) si sono zittite: sono infatti proprio le vertenze portate avanti con queste modalità che hanno costretto le istituzioni a dover dare risposte alle condizioni di sfruttamento nel distretto pratese. E la validità del metodo è dimostrata dalla “rappresaglia aziendale” che non si è fatta di certo attendere. L’iscrizione al SiCobas, ha ovviamente comportato la richiesta del rispetto del contratto di lavoro nel passaggio dalla formula di ‘apprendistato’ che consente un demansionamento del valore salariale della propria busta paga ad un contratto regolare seguita poco dopo, da una solerte mail in cui l’azienda metteva tutti in cassa integrazione. Una misura davvero arbitraria dato che la fabbrica non ha mai interrotto il proprio ritmo di produzione, imponendo semmai a chi è rimasto a lavorare, straordinari estremamente gravosi: oltre 12 ore, 7 giorni su 7. Un’altra misura adottata dalla Texprint, è stata quella di mandare alcuni dirigenti dell’azienda a “comprare” i lavoratori, calmierando la protesta con soluzioni economiche (tutte inevase e rimandate al mittente). E giungiamo a sabato 6 marzo: un presidio con centinaia di persone tra lavoratori, organizzazioni politiche, comparti di fabbriche e organizzazioni sindacali, ma anche tanta gente non necessariamente legata a movimenti dal basso e di lotta, erano a portare solidarietà ai lavoratori dell’azienda tessile. La forza di questi lavoratori, in quell’antagonismo di classe che di cui spesso sentiamo la retorica per le “desuete” forme conflittuali, ha trovato lì invece, una ragione d’essere e proprio nel metodo della lotta e nell’affermazione dei propri diritti, in particolar modo per le legittime otto ore distribuite in cinque giorni e infatti: “8 ore x 5 giorni”, ha rappresentato per quel giorno, simbolo, insegna e rivendicazione.Ciò che davvero dà speranza è realizzare che la “coscientizzazione”, l’unione, sono possibili e davvero reali sul piano materiale quando si tratta della difesa, della salvaguardia di sé e di ciò che ti unisce collettivamente al bisogno degli altri, quando nessuno è lasciato indietro. Soprattutto chi arranca, chi è di continuo a rischio della propria esistenza e della salute, per un salario da fame che non viene corrisposto neanche interamente per ciò che anche le antiche e poco gloriose concertazioni, avrebbero considerato dignitoso. Un’unione che non ha bisogno di documenti programmatici, perché la fiducia nella lotta è prassi, tenacia, coraggio, collante e 40 giorni di sciopero dichiarano che forse non è così insensato credere che infondo sia davvero possibile invertire i piani di forza.

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