SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI DELL’ ASKATASUNA E DEL COLLETTIVO HOBO

Come Collettivo Politico 13rosso esprimiamo solidarietà ai compagni del Centro Sociale Askatasuna, colpiti da un’ infamante campagna mediatica orchestrata da Digos,questura e magistratura con l’intento di criminalizzare alcuni militanti colpevoli, a loro dire, di aver allontanato degli spacciatori di eroina dal quartiere torinese di Santa Giulia.
Se per la questura e tribunale questo significa “racket” o “esercitare un controllo del territorio”, dal nostro punto di vista invece, determinate azioni rientrano nelle attività esercitate all’interno del quartiere e che comprendono anche la lotta allo spaccio di droghe pesanti. In specialmodo l’eroina che sembra essere tornata più prepotente che mai e che rappresenta una vera e propria piaga sociale per migliaia di persone, perlopiù giovani e giovanissimi.

Un’altra storia che può sembrare slegata ma che invece viaggia sulla stessa scia è quella del Collettivo Hobo di Bologna, al quale esprimiamo massima solidarietà.
I compagni bolognesi sono accusati di aver estorto denaro ad imprenditori, che non avevano pagato i propri dipendenti o colpevoli di gravi inadempienze contrattuali.
La questione principale che accomuna queste due vicende non è solo la repressione poliziesca, ma la contestazione legale e la visione ultralegalitaria con cui si giudica il metodo utilizzato dalle due organizzazioni. Ovvero; nel caso di Torino, per l’opinione pubblica non è sbagliato di per sé allontanare uno spacciatore di eroina, ma lo diventa se viene fatto al di fuori del campo legalitario, ed a maggior ragione se a farlo sono dei militanti di un centro sociale come l’Askatasuna.

Il caso di Bologna è analogo. Attenzione, anche qua non viene contestato il fatto che i lavoratori avessero diritto o meno ad avere le somme di denaro non versate dai datori di lavoro, ma si contesta le modalità extra-legali adottate per ottenerli. In poche parole, esigere del denaro che ti spetta di diritto per aver svolto il proprio lavoro, può diventa un crimine se non lo si fa nei termini previsti dalla legge.
La stessa legge che poi permette a determinati individui di lucrare, sfruttando e relegando nel precariato cronico milioni di lavoratori.
Il fatto che questura e magistratura non parlino mai di azioni politiche, ma si limitino ad etichettare il tutto come mera criminalità comune è lampante e non casuale. Un metodo già brevettato per svilire la lotta politica agli occhi dell’opinione pubblica, oltre che a voler lanciare un chiaro messaggio: chi esce dagli schemi della legalità, chi cerca di ottenere qualcosa tramite la lotta politica deve essere represso ad ogni costo.
La pandemia avrá pure cambiato le abitudini, ma di certo non i vizi.

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