La discussione politica dell’ultimo mese è stata incentrata soprattutto dalla polemica sulla riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).
Il MES è né più né meno che un meccanismo finanziario costruito quale baluardo di difesa dell’eurozona nel conflitto inter-imperialista e messo in atto a seguito e a causa della pauperizzazione provocata dalla crisi del debito.
La propria struttura conta di un Consiglio di governatori (composto dai ministri delle finanze degli Stati membri) e di un Consiglio di amministrazione (la cui nomina è data dagli stessi governatori) e può stabilire, per i paesi aderenti, scelte di politica macroeconomica quale condizione per prestare assistenza finanziaria.
In realtà, la questione è piuttosto lontana nel tempo dato che il fondo-organizzazione fu approvato dal Parlamento italiano nel luglio del 2012 e grazie ad una nutrita maggioranza bipartisan. Del resto, come è risaputo, il capitalismo esce a ciclo continuo da una crisi per prepararne un’altra. O meglio: il capitalismo è un modo di produzione alla canna del gas che si traghetta di crisi in crisi.
L’ultima, ciclica, di sovrapproduzione, iniziò a metà del 2007 ma deflagrò nel settembre 2008 estendendosi per un effetto domino a tutta l’economia mondiale e determinando continui fallimenti: l’erosione delle forze produttive e l’indebitamento degli Stati imperialisti e capitalisti con il solo scopo di salvare i monopoli finanziari.
L’effetto di tutto questo, ha condotto prima ad una recessione estrema, poi a una ripresa fragile, altalenante, poco omogenea e che in molti paesi, il nostro incluso, ha dato come risultato, una lunga stagnazione con enormi tassi di disoccupazione, salari ridotti, immiserimento delle condizioni dei lavoratori.
Molto probabilmente, la prossima crisi si concentrerà nell’Eurozona, data la decelerazione della produzione industriale, la contrazione del potere di acquisto delle masse, i livelli di debito pubblico e il profondo deficit soprattutto per ciò che concerne le grandi banche private e pubbliche come la Deutsche Bank, la BNP Paribas, la Crédite Agricole, la Commerzbank, l’Unicredit, la Banca Popolare di Bari caratterizzate da derivati finanziari “tossici” (con il termine titolo tossico si intende un titolo di credito derivato dalla cartolarizzazione dei mutui e prestiti subprime e venduto dalle banche ai propri clienti (tra cui, spesso, fondi di investimento) come obbligazioni a basso rischio finanziario, ma rivelatisi di scarsa qualità).
Se l’Eurozona si spartisce il mercato mondiale, paesi come la Germania, la Francia, Italia, la Spagna a breve avranno un’ulteriore recessione (nel frattempo che il Regno Unito si barcamena per le mutevoli condizioni poste dalla Brexit). La riforma del MES, si configura pertanto, come lo strumento atto a facilitare gli interessi di Stati forti come la Germania e la la Francia, in attesa della prossimo crollo economico.
In che modo? Innanzitutto, accedere ai prestiti diventa impraticabile per quei paesi che non sono in grado di rispettare la disciplina di bilancio, con notevoli squilibri macroeconomici (questi emergono quando alcuni Stati membri sono più competitivi di altri e la bilancia delle esportazioni supera quella delle importazioni. I paesi in deficit invece si trovano nella situazione inversa, prendendo soldi in prestito dalle economie più competitive) e l’Italia, è esempio lampante in tal senso, essendo una media potenza capitalista che perde pezzi importanti della propria struttura economico-finanziaria.
Tale provvedimento, dunque, consentirebbe ai membri con maggiore forza dell’Eurozona di esprimere una forte pressione politica ed economica sui paesi più deboli, creando i presupposti di una pubblicistica “lacrime e sangue”, in particolar modo su l’aumento dei tassi d’interesse dei titoli di Stato, consentendo così la speculazione finanziaria, che tradotto vuol dire: una nuova aggressione a salari e pensioni, l’eliminazione dei servizi sociali, la pauperizzazione dei piccoli risparmiatori, la crescita della disoccupazione e l’ulteriore miseria delle classi subalterne.
Il MES, dunque, non è altro che un regolamento di conti delle potenze concorrenti del libero mercato, nel rimpallo della crisi
con altri paesi ma soprattutto sul futuro della classe lavoratrice e per tale ragione, la conclusione, dovrebbe essere tra le più semplici e chiare: l’UE non può essere considerata e ovviamente non lo sarà mai, un organo regolatore e stabile dove la pianificazione economica, possa sostituire l’anarchia capitalista; è il gioco a RisiKo di Stati e dei gruppi del grande capitale in antagonismo tra di loro.
Non è possibile salvare e soprattutto, voler salvare a tutti i costi un sistema putrescente, dare credito alla UE, ai suoi monopoli e alle menzogne dell’ “Europa dei popoli”, alla demagogia infame del “prima gli italiani” (capitalisti). E soprattutto credere (ma chi, poi?) che ciò sia possibile per dei movimenti liberaldemocratici (le sardine) o forse quel che è peggio dando attendibilità a qualche anima bella della sinistra (che si definisce addirittura rivoluzionaria) che paradosso della lotta dimentica di sé, domandi al governo Conte, di non votare la riforma del MES.