di Niccolò Lombardini
Circa un anno e mezzo fa ci eravamo occupati delle proteste che ormai dal 2016 infiammano il nord del Marocco ( leggi qua: http://pclfirenze.blogspot.com/…/il-marocco-e-le-rivolte-de…) e del movimento nato in seguito alla morte del pescivendolo Mouchine Fikri, avvenuta nell’Ottobre del 2016 a al- Hoseyma: ucciso all’interno di un camion della spazzatura mentre cercava di riprendersi il pesce che la polizia gli aveva sequestrato e poi buttato via.
Le proteste che inizialmente erano incentrate contro gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine e per la militarizzazione di massa della zona voluta da Re Mohamed VI, con il passare dei giorni acquisirono sempre più un carattere nettamente politico, sviluppando una piattaforma capace di riunire i manifestanti su parole d’ordine contro ingiustizia sociale, disoccupazione e contro Re e governo colpevoli di essersi volutamente dimenticato del Rif, non investendo minimamente in settori fondamentali come sanità, istruzione ed infastrutture che risultano le più carenti di tutto il Marocco, oltre alla disoccupazione dilagante che investe la regione berbera, da sempre in lotta per la propria autonomia politico-culturale.
Il principale artefice delle mobilitazioni fu il sindacalista e militante socialista Nasser Zefzafi, che con l’ausilio dei social network riuscì a radunare nelle strade di al-Hoseyma, ogni sera, per mesi e mesi, migliaia di persone – si stimano circa 200.000 donne e 300.000 uomini – dando vita al movimento ” Hirak El-Rif “, di cui verrà nominato portavoce.
Il movimento che ormai si era consolidato ed aveva acquisito coscienza, mise in atto una serie di azioni ritenute inaccettabili agli occhi del governo come ad esempio l’interruzione della preghiera del venerdì, in cui venne accusato l’Imam di usare la religione come strumento di propaganda politica filo-governativa.
La risposta da parte del governo marocchino fu molto dura, nel luglio 2017 centinaia di manifestanti, tra cui decine di minorenni, vennero arrestati e molti dei quali torturati.
Nasser Zefzafi, già da molti anni sotto la lente d’ingrandimento di Mohamed VI, per aver partecipato nel 2011 con il ” Movimento 20 febbraio” – un’organizzazione sindacale sedicente marxista- alle manifestazioni anti-monarchiche, dopo una rocambolesca fuga tra le montagne del Rif agevolata dalla complicità della popolazione, venne arrestato nel maggio 2017 con le accuse di aver minato la sicurezza dello Stato e di vilipendio al Re.
Nel giugno del 2017, durante il processo di primo grado, Nasser Zefzafi insieme ad altri 53 imputati sono stati condannati a pene durissime, in alcuni casi persino della durata di vent’anni.
Il processo, secondo quanto riporta Amnesty International, si è svolto violando il diritto degli imputati di ricevere un processo equo, usando contro gli accusati prove discutibili e confessioni estorte con la tortura, nonostante siano state ritrattate nel corso del processo. Gli avvocati difensori hanno denunciato pure le difficoltà nel preparare il processo visto che gli accusati erano tutti detenuti nel carcere Ain Sabaa 1 di Casablanca, a più di 600 km di distanza da al- Hoseyma.
Sia Nasser Zefzafi che il giornalista Rabie Labak, hanno affermato difronte alla Corte d’Appello di essere stati picchiati e torturati, inoltre Labak ha dichiarato che la polizia, dopo avergli messo in bocca una straccio bagnato con un liquido dal sapore riluttante, lo hanno denudato e stuprato con una bottiglia fino a quando non si è deciso a firmare la confessione. Un’altro militante di ” Hirak El-Rif ” Hamid El Mahdaoui, ha accusato il governo di Rabat di averlo rinchiuso in una cella di isolamento per quasi 500 giorni, anche lo stesso Nasser Zefzafi ha subito lo stesso trattamento per 15 mesi.
Nell’Agosto del 2017, undici degli imputati hanno ricevuto la “Grazia Reale” dal Re Mohamed VI e sono stati scarcerati, mentre altri quattro sono stati rilasciati con la condizionale.
Meno di un mese fa è iniziato il processo d’appello per i restanti 39, intanto il Parlamento Europeo ha inserito il nome di Nasser Zefzafi tra i finalisti del premio Sakharov per la libertà di espressione. Un evidente controsenso viste le politiche dell’Unione Europea, che da una parte si fa paladina di libertà, mentre dall’altra usa il governo di Rabat, come alleato fondamentale nel blocco dei flussi migratori verso la Spagna, tollerando arresti, abusi e prevaricazione, sia della polizia di frontiera marocchina, sia di quella spagnola a Ceuta e Melilla.
Le rivolte del Rif e il movimento “Hirak El-Rif” composto completamente da lavoratori, contadini , pescatori e disoccupati come lo stesso Nasser Zefzafi, hanno dato una dimostrazione politica molto importante a tutto il Maghreb, portando avanti nonostante la feroce repressione, rivendicazioni di classe ed anti-monarchiche, senza usare l’Islam come strumento di agitazione. Un movimento quindi non interclassista, ne legato a dinamiche di stampo confessionale, come invece è stato consuetudine vedere all’interno delle Primavere Arabe di qualche anno fa.
Oltre a questo c’è la secolare questione dell’indipendenza dal Marocco, che tutt’oggi gli abitanti del Rif chiedono a gran voce rivendicando il fatto che nella regione berbera oltre alla loro lingua – il tamazyt – vigono usi e costumi culturali, che nel corso della storia si sono scontrati più volte con quelli arabi e sono stati duramente repressi dal governo marocchino. Detto questo rimane il fatto che l’autodeterminazione dei popoli è un diritto sacrosanto. Non si può sapere con precisione ciò che potrà accadere a livello politico, se le sentenze emesse dal tribunale di primo grado verranno confermate. A prescindere da ciò esprimiamo solidarietà a Nasser Zefzafi e verso tutti gli altri prigionieri politici reclusi nelle carceri reali marocchine, colpevoli solamente di lottare contro emarginazione sociale, oppressione e povertà che coinvolgono migliaia di lavoratori del Rif.